Gli alberghi tristi
“Ho deciso di raccontare e lasciare traccia di tutto ciò che si cela dietro a quell’intimo rapporto che si nasconde tra il proprio modo di essere e la vita che scegli di affrontare. Un modo per avvicinare chi non accorgendosi di passione e difficoltà, non apprezza o non apprende al meglio, cosa si nasconde nell’immenso mondo lavorativo fatto di rapporti umani, sensazioni, ricordi e speranze.
In queste righe, lo sfogo di una notte in albergo, durante una notte piovosa e fredda, nella solitudine che si cela alle spalle di giornate intense, lontani da amici e da affetti”
L’ombra della penna, più rapida del mio pensiero, mi riporta nella mente un’armonica immagina di piacere.
Solo nel vuoto del rumore che resta in silenzio, ascolto come un discepolo attento ed entusiasta, ogni lezione che il mio animo impartisce.
Maestro assorto in una veste di saggezza; effimera e presuntuosa che a volte litiga e casca tra fango e detriti, lungo il dirupo dell’incoscienza.
Il mio unico scopo, lungi dal voler apparire immerso nella sua beltà, è quello di una introspezione che pone radici in un terreno di carne; come un contadino che dalla prima semina segue e “accudisce” il suo raccolto, cosi quel recipiente da me incarnato, asseconda le novelle che il maestro spirito racconta.
Forse, la tenera lucina di questa stanza d’albergo, funge da richiamo nel tirar fuori ciò che resta dormiente.
Oppure la natura che fa visita, al tintinnio di qualche goccia di pioggia, o sbuffo di vento, fa si che la pace raggiunga il senso e mi ponga all’ascolto.
Sarà assurdo e forse un’illusione, vi apparirà anche una inutile e poetica messa in scena, ma l’ombra che questa penna lascia nello scrivere sul foglio, nasconde l’imbarazzo delle mie mani che rendendosi sfacciate, descrivono gli instanti che il Maestro narra in un sospiro.
Da molti giorni rifletto assiduamente su alcuni perché e su molti quesiti che diventano insistenti.
La Vita sfugge come il passo felpato del lupo sulle coltri nevose di queste montagne, ed io, rendendomi conto del tempo fuggente, vivo un terrore interno che solo questo bosco sa celare.
La montagna, vissuta nell’idea di un rifugio spirituale che tuttavia mi costringe e mi lega, come in una prigione di rami.
Felicità e tristezza raccontano di una storia comune, seppur anche la rete di quel materasso che mentre scrivo mi si mostra dinanzi, voglia farmi sorridere obliando ogni difficoltà.
Fissando dei punti in questa mansardina ho serie difficoltà a trovare difetti alla mia vita, nonostante tutto ciò che ami è ciò che mi distrugge.
Il pensiero corre ai giorni passati, a quello sguardo capace di essere una chiave pronta ad aprire un mistero.
Una chiave che a sua volta si è avvolta essa stessa nell’alone dell’incertezza.
Cosa voglio esprimere in questo non senso di versi?
Nulla, o forse tutto; di sicuro nel flusso del mio pensiero, racchiudo in un’eruzione d’inchiostro, quello per cui, forse, sono chiamato a vivere.